Condivido l’articolo di Enzo D’Anna con tutti voi perché ha messo su carta una sacrosanta verità nel modo più comprensibile possibile. Buona lettura.
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di Vincenzo D’Anna*
Non saprei dire quante siano le persone che ricordino la vicenda giudiziaria di Nicola Cosentino, leader indiscusso di Forza Italia in Campania e sottosegretario al ministero dell’Economia nell’ultimo governo Berlusconi.
Alla guida del partito del Cavaliere riuscì a ribaltare l’egemonia del centrosinistra in Campania assicurando alcuni grandi Comuni, le amministrazioni provinciali e quella regionale alla coalizione di centrodestra.
Erano tempi, quelli, dell’egemonia di Antonio Bassolino (e del Pd) con Forza Italia ridotta ai minimi storici.
Il giovane avvocato casertano assurto alla guida del partito, seppe riportare il consenso di FI a cifre record fino a raggiungere il culmine alle politiche del 2018 allorquando il Popolo delle Libertà riscosse la maggioranza assoluta delle preferenze in Campania.
Neanche la Dc di Alcide De Gasperi nell’epica, decisiva campagna elettorale del 1948, era riuscita in tanto. Come siano, poi, andate le cose credo sia ancora noto: Cosentino doveva essere eliminato per via giudiziaria, coperto dal fango delle accuse di collusione con la malavita organizzata, da un discredito assicurato dalla gogna mediatica che ne doveva cancellare i meriti politici e con essi depauperare i consensi ad una destra diventata troppo egemone.
Condannato in primo grado a nove anni dei quali la metà scontati in carcere con l’infamante accusa di essere il riferimento politico dei Casalesi, l’ex sottosegretario fu poi assolto in secondo grado perché il fatto non sussisteva.
La vicenda prese il via da un’ipotesi suggestiva, che i pubblici ministeri costruirono con sagacia, ed alla quale fu dato il nome in codice “Il principe e la scheda ballerina”. In soldoni, l’accusa ipotizzava che, nella qualità di referente delle cosche, Cosentino avesse mediato affinché una banca finanziasse la costruzione di un ipermercato. Un affare da due milioni di euro che l’istituto di credito successivamente negò ai richiedenti per mancanza delle necessarie garanzie. Quella mediazione, secondo il teorema dei pm, si era svolta a Roma in un colloquio durato poco meno di mezz’ora, negli uffici della banca. A nulla valsero le dichiarazioni degli stessi interessati, alcuni dei quali incarcerati senza troppi problemi. Non si riuscì in alcun modo a scagionare Cosentino dalle accuse. E l’indagine andò dritta per la sua strada.
Purtroppo le traversie giudiziarie del politico casertano non finirono lì.
Furono infatti ben tre, successivamente, i processi imbastiti contro di lui, con la tecnica dell’utilizzo dei pentiti (che mai avevano visto, frequentato oppure sentito l’ex leader forzista). Ebbene tutti e tre i procedimenti videro cadere, uno dopo l’altro, l’accusa di concorso esterno. Insomma, per farla breve: un’eternità, uno stillicidio morale e psicologico che alla fine provocò l’allontanamento proditorio di Cosentino dalla vita politica campana (e del Paese). Come a dire: obiettivo raggiunto dalla longa manus di una certa magistratura politicizzata.
Politicizzata al punto tale che uno dei pm che aveva indagato su di lui finì per essere nominato assessore nella giunta comunale di Napoli guidata dal sindaco de Magistris ed un altro ancora, mostrando lo scalpo di Cosentino, si ritrovò addirittura catapultato nel Csm.
Sono episodi, questi, che tornano alla mente allorquando giunge notizia che la procura partenopea, su denuncia di un organismo istituzionale, ha deciso di aprire un’inchiesta per un’ipotesi di reato a carico di taluni non meglio definiti soggetti che avrebbero fatto da intermediari tra il governo della Colombia e l’ente di Stato Leonardo (ex Finmeccanica) per il tramite di una fondazione presieduta da Marco Minniti (ex parlamentare e Ministro Pd) sponsorizzata appunto da Leonardo. L’oggetto era la vendita di armamenti (sommergibili, corvette ed aerei) al paese sud americano. Un affare da 4 miliardi di euro con una commissione di 80 milioni destinata a quegli stessi “mediatori”.
Ebbene, nell’ambito di questa vicenda sono spuntate fuori alcune intercettazioni eloquenti nelle quali si sente uno dei “mediatori”, Massimo D’Alema (sì, proprio l’ex presidente del Consiglio e segretario del Pd), rivendicare esplicitamente il diritto di riscuotere quei soldi per poi dividerli tra i soggetti intervenuti a vario titolo per agevolare l’affare.
Ora, nessuno è stato (ancora) inquisito e men che meno arrestato nell’ambito di questa paradossale vicenda. D’Alema stesso, anzi, si è in qualche modo giustificato spiegando di essersi interessato della cosa unicamente a vantaggio dello Stato italiano ma anche che l’affare, alla fine, non è mai andato in porto.
Che dire? Stavolta nessuno sembra fiatare e la cosa pare già essere morta e sepolta. Eppure con Cosentino non andò così!
Nossignore. Lui fu indagato , carcerato e massacrato a livello giudiziario. Che dire, forse l’errore dell’ex leader forzista fu quello di non essersi interessato di navi e sommergibili bensì di un…supermercato? Ma Cosentino, si sa, era di Forza Italia. Era nato a Casal di Principe. Lui era ontologicamente un camorrista e doveva finire in galera.
*già parlamentare. Articolo pubblicato su Appia Polis Comunicazione